Ora che conosciamo bene la scrittrice Alberta Rossi vogliamo parlarvi del suo ultimo libro “Misteri, avventure e magiche creature. La val di Fassa tra fantasia e realtà”. Non mancheranno alcune curiosità sulla nostra amata Fata delle Dolomiti e qualche consiglio speciale per visitare Moena al meglio!
Nell’ultimo libro che hai scritto “Misteri, avventure e magiche creature. La val di Fassa tra fantasia e realtà” ci sono 3 racconti che parlano proprio di Moena. Senza svelare il racconto ci vuoi dare qualche cenno?
Prima vorrei precisare che tutti i racconti si sviluppano in un registro che è a metà tra la fantasia e la realtà. Dunque, ci sono elementi di fantasia e altri reali come l’ambientazione. A tal proposito ci tengo a dire che ogni racconto, oltre a proporre delle illustrazioni molto belle di Elena Corradini, è accompagnato anche da una cartina che si può utilizzare per ripercorrere di persona i luoghi del racconto.
Inoltre, i racconti di questo libro vanno tutti a svelare i soprannomi degli abitanti dei singoli paesi e in qualche caso anche delle frazioni e Moena da questo punto di vista ne ha molti, tant’è che ho scritto ben tre racconti ambientati qui.
Il primo ha per titolo “La sorgente misteriosa” ed è ambientato a Forno di Moena. La particolarità di questo racconto è che ci porta a scoprire un luogo particolare la cosiddetta “Cava del bol” di Valsorda, una cava situata nell’alta Valsorda dove si estraeva l’ematite rossa, un minerale ferroso presente abbastanza frequentemente in natura che deve il nome al suo colore naturale. In ladino è detto “bol”. Dalla sua estrazione in passato si otteneva una tinta che veniva impiegata per scrivere e dipingere sui sassi e per decorare le case. Sono migliaia i segni lasciati sulle rocce, in particolare dai pastori nel corso della loro attività in montagna. La loro datazione va dalla preistoria all’età contemporanea. Se ne trovano ancora oggi sui massi sparsi lungo i pascoli abituali della popolazione di Medil ma anche sul lato orientale della media Valsorda, nonché sui versanti del monte Cornón, in val di Fiemme, e a sud del gruppo dolomitico del Latemar. E il soprannome degli abitanti di Forno è “musciac”, asini in italiano.
Il secondo svela il soprannome degli abitanti del paese di Moena che è “porcie” maiali, e questo racconto a me piace molto perché porta il lettore all’alpeggio di Moena, l’Alpe di Lusia, in autunno quando tutto si colora dei bellissimi colori autunnali oltre ad avere un finale particolare che ci porta fino a Penia di Canazei.
Nell’ultimo racconto invece troviamo i soprannomi delle tre frazioni principale del paese che sono Sorte dove abbiamo i cornacins o cornacchie, Someda dove abbiamo i cegn o cani e Pecé dove troviamo le rane.
Questo racconto è molto divertente e ha un personaggio particolare che è Don Enrico ispirato alla simpatia e al buon cuore dell’attuale vero parroco di Moena, Don Enrico. Lui assieme a tre ragazzi saranno coinvolti in una bella avventura a caccia di una strega.
Non voglio dirvi di più per non rovinarvi il racconto.
La tua conoscenza del paese di Moena va oltre le leggende, il territorio e la tradizione. Ci sono molte curiosità che conosci di Moena, vuoi raccontarcene qualcuna?
Possiamo dire senz’altro alcune curiosità come, ad esempio, che il vecchio nome del paese “Moyena” rinvia ad un luogo acquitrinoso tant’è che lo stemma ottocentesco del paese riporta un uomo su una barca.
Per rimanere invece sempre nell’ambito della leggenda, tutti sanno che Moena è chiamata anche la fata delle Dolomiti, ma in pochi sanno il perché.
Brevemente vi dico cosa accade. Tutto ebbe origine in tempi antichissimi quando sul Catinaccio viveva un popolo di nani con il loro re Laurino. Questo regno era nascosto da un bellissimo giardino di rose e pochissime persone osavano avvicinarsi. Un giorno Ladinia, la figlia del re, vide in lontananza un cavaliere, se ne innamorò e da quell’istante tutti i giorni felice cantava il suo amore. Il vento portò quella melodia al principe che un giorno arrivò fino al castello e portò via con sé Ladinia che, anche se dispiaciuta perché abbandonava il padre e il regno, fu felice di andare incontro a una nuova felicità.
Re Laurino però venne a sapere dal vento cos’era successo e se la prese con le rose del suo giardino perché con il loro colore avevano attirato il principe e fatto scoprire il suo regno, tradendolo. Così lanciò la maledizione e trasformò in pietra tutto il roseto affinché non si potesse vedere né di giorno, né di notte. Si dimenticò però del tramonto e ancora oggi, al crepuscolo, si vedono le rose rosse del giardino incantato. Da quel giorno quella montagna è chiamata Rosengarten, “Giardino delle rose”, e quel fenomeno così suggestivo che al crepuscolo tinge di rosa le cime è detto Enrosadira e caratterizza tutte le Dolomiti.
Trascorsero degli anni, Ladinia e il principe del Latemar, nel frattempo, avevano avuto tre figlie ed erano felici. Un giorno però il principe venne chiamato in guerra sul Ciadinon e per stargli vicino Ladinia e le figlie si trasferirono sulla conca soleggiata di Moena e sul sentiero che dal Latemar scende a Rancolin dalle orme lasciate dalla fata crebbero delle rose.
A Ladinia piacque talmente tanto Moena che da quel giorno cambiò il suo nome in quello di Moena. Inoltre, ancora oggi, se si raggiunge la località Rancolin, dove Moena dimorava, si possono ammirare delle bellissime rose canine, fiori che sbocciavano ovunque lei passasse.
Vuoi dare qualche consiglio a chi vuole visitare Moena?
Volentieri. Vi invito a scoprire la fata delle Dolomiti a 360°. Moena oltre ad avere molte bellezze naturali offre molto altro. Vi invito dunque a scovare i sentieri meno battuti e a visitare zone poco frequentate come i boschi. Vi consiglio di scoprire non solo le bellezze naturali di Moena, ma anche quelle culturali che vanno dalla sua storia alla sua lingua, specchi anch’esse di un paese che ha tanto da offrire. Vi invito a visitarla tutto l’anno, anche l’autunno e la primavera qui sono magici.
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